La forza dei contrari: Venezia vista con gli occhi del Tintoretto

Con la mostra “La forza dei contrari. Venezia vista con gli occhi del Tintoretto, l’uomo che seppe trasformare l’eroico in quotidiano”, si affronta l’esperienza umana e pittorica, di uno dei più importanti pittori del Rinascimento veneziano. Un uomo che ha lasciato un’impronta indelebile nella storia dell’arte grazie alla sua visione innovativa e alla sua intensa esperienza umana. Guidati da una sorta di narrazione che vede il Tintoretto stesso protagonista del racconto, secondo quanto la scrittrice Melania Gaia Mazzucco in “la lunga attesa dell’angelo” ci presenta, la mostra indaga alcuni aspetti della sua pittura, ponendo particolare attenzione al contesto storico e culturale di Venezia.
Infatti, in controluce nelle sue opere troveremo sempre una Venezia carica di contraddizioni ma sempre certa di dovere tutto all’unicità delle sue radici, tratto questo indagato nelle sezioni della mostra: “In fuga verso le origini” e “Unde Origo, inde salus”, vale a dire dall’origine, la salvezza.
La tradizione vuole infatti che: “l’anno sopra detto 421, il 25 del mese di marzo, nel mezzogiorno del lunedì Santo, a questa illustrissima ed eccelsa città Cristiana ed maravigliosa, fu dato principio” (cronaca Altinate).
La mostra, curata dal professor Carlo Teruzzi, Direttore del fArti Museum – Digital Experience, prevede più livelli di lettura, modalità questa resa possibile dalla sua strutturazione integralmente digitale, oltre che interattiva. Pertanto, tanto gli adulti quanto i bambini, potranno cimentarsi con la vita e l’opera di un grande maestro del 500’, attraverso una modalità divertente e partecipativa, e questo anche grazie al contributo portato nella realizzazione del percorso digitale dai ragazzi del Liceo Artistico del Rosmini International campus, ai quali verranno altresì affidate le visite guidate per le scolaresche. Visite che si muoveranno da un primo approccio immersivo, per terminare in modalità laboratoriale ed esperienziale.
L’inaugurazione, seguendo uno schema consolidato avviato ormai più di un decennio fa con le prime mostre realizzate dalla Fondazione Dignitatis Personae, vedrà alternarsi video e testi dedicati tanto all’opera del Tintoretto quanto alla sua interazione con la città di Venezia, con l’esecuzione di brani musicali e liberamente adattati al percorso espositivo dal Maestro Roberto Olzer. Modalità che ben si adatta tanto alla personalità del Tintoretto, quanto alla città di Venezia, visto che entrambe hanno fatto dell’improvvisazione e della capacità di stupire la loro cifra di fondo.

Dinamismo e Movimento
Tintoretto è celebre per la sua capacità di catturare il movimento. Le sue composizioni sono caratterizzate da una forte dinamica, che si manifesta attraverso pose drammatiche e una disposizione spaziale audace. Questa scelta stilistica riflette l’influenza del manierismo e il desiderio di esprimere l’emozione umana, un aspetto particolarmente rilevante in una Venezia che stava vivendo una fase di grande vivacità culturale e commerciale.
Al riguardo, lo stesso Sartre lo definì come il primo vero e proprio regista cinematografico, quasi che i suoi “frammenti pittorici” fossero paragonabili a “fotogrammi filmici”, capaci, partendo dall’istante messo in scena, di raccogliere il fluire di azioni passate tutte quante tese alla realizzazione del proprio destino. “Il miracolo della liberazione dello schiavo” dipinto nel 1548 e prima vera e propria opera pubblica commissionata all’artista dalla Scuola Grande di San Marco, testimonia alla perfezione questo dinamismo così intenso e vivido, da riuscire a proiettare lo spettatore all’interno del dipinto stesso.
La composizione dell’opera è caratterizzata da un forte senso di movimento. Tintoretto organizza le figure in diagonali, che creano una spirale di energia visiva. Il santo, al centro, è rappresentato mentre si avvicina con determinazione allo schiavo, il quale, in un gesto di sorpresa e gioia, si volta verso di lui. Questa interazione dinamica è accentuata da gesti espressivi e movimenti fluidi delle figure circostanti. Le figure sono disposte in piani differenti, dando una sensazione di profondità e prospettiva. I personaggi in primo piano, come l’alto dignitario e i soldati, sono mossi da una tensione palpabile, mentre i gruppi sullo sfondo sembrano reagire al miracolo, amplificando la sensazione di movimento. Tintoretto usa la gestualità per sottolineare l’emozione del momento: braccia alzate, volti espressivi e posture in tensione catturano l’attenzione dello spettatore.

Luce ed Ombra
Un altro tratto distintivo della pittura di Tintoretto è l’uso innovativo della luce e dell’ombra. La sua padronanza del chiaroscuro crea effetti drammatici e intensifica la profondità spaziale. In un contesto veneziano, dove la luce naturale gioca un ruolo fondamentale grazie ai riflessi delle acque e all’architettura luminosa, Tintoretto riesce a tradurre queste qualità nella sua arte, rendendo le sue opere vibranti e coinvolgenti. Tale fu la sua capacità nell’evidenziare questi contrasti, che spesso la stessa arte contemporanea, a partire da Emilio Vedova Sino a giungere allo stesso Virgilio Guidi, si è spesso trovata debitrice di questa energia scaturita appunto dall’opposizione dei contrari stessi.
Lo stesso artista soleva a tale riguardo dire: “l’arte mi resisteva ed io l’ho uccisa…”. Chiaro esempio della sua capacità di andare oltre quanto si potesse anche solo immaginare, lo troviamo nell’audacia con la quale il Tintoretto evitò il concorso per la realizzazione del “San Rocco in gloria” dipinto tra il 1575 e il 1580, per la Scuola Grande di San Rocco. Infatti, introdottosi furtivamente nottetempo, fece trovare alla commissione riunitasi il giorno dopo, non solo il bozzetto, ma la stessa opera già realizzata e collocata. Opera che l’artista stesso donerà a quella scuola per la quale lavorò per la sua quasi intera vita. “… perché tuo padre ha un sogno, il sogno è dipingere per questa scuola e farsi un nome. Perché uno quando ha un sogno deve fare qualunque cosa per realizzarlo”. (Da “La lunga attesa dell’angelo)
L’opera presenta San Rocco in un contesto celestiale, circondato da angeli e santi. Tintoretto utilizza una composizione complessa e stratificata, con il santo al centro, in posizione elevata, che sembra quasi fluttuare nel cielo. La prospettiva è audace: le figure sono disposte su più piani, creando un senso di profondità che trascina lo spettatore verso l’alto, verso il divino. L’illuminazione è un altro elemento chiave. La luce si irradia dal corpo di San Rocco, creando un’aura sacra che illumina gli angeli e le figure circostanti. Questo uso drammatico della luce, che genera forti contrasti, enfatizza non solo la figura del santo, ma anche il suo ruolo centrale nella narrazione. La palette è vivace, con toni luminosi e saturi che donano vita alle figure. La ricchezza dei dettagli nei panneggi e nelle espressioni dei volti è tipica dello stile di Tintoretto, che cerca di evocare un forte impatto emotivo. Gli angeli, con le loro pose dinamiche e le espressioni coinvolgenti, sembrano danzare attorno a San Rocco, contribuendo a una sensazione di movimento e vitalità.

L’eroismo del quotidiano
Molte delle sue opere affrontano temi religiosi, ma con una personalizzazione che va oltre la semplice narrazione biblica, spesso presentata dai pittori precedenti secondo canoni tradizionali. La sua visione spirituale è infatti caratterizzata da un’intensa domanda di senso, che giunge a sfiorare i toni di una vera e propria inquietudine esistenziale, che trova un’eco alquanto stimolante nel contesto politico-religioso di Venezia, vero e proprio crocevia di influenze diverse. A partire da questo l’artista riesce a infondere nelle sue rappresentazioni una profondità umana e psicologica di forte impatto drammatico, rendendo i soggetti e le storie più accessibili e familiari, quasi che lo spettatore ne facesse realmente parte, sino a divenirne vero e proprio interprete di un quotidiano vissuto in prima persona.
Nella sezione “Dalla morte la vita”, la mostra indaga appunto questa capacità dell’artista, di rendere la quotidianità ed il dolore spesso da questa rappresentato – come nel caso della peste, raccontata in modo mirabile dall’opera “San Rocco risana gli appestati” realizzata fra il 1549 ed il 1551 – un’occasione di riscatto umano e di apertura verso una speranza che va oltre ogni limite, persino quello della morte.
Il dipinto ritrae San Rocco, il santo protettore contro la peste, mentre cura gli appestati. La scena è affollata e dinamica, con figure umane che si muovono in modo naturale, creando un senso di urgenza e partecipazione. San Rocco è rappresentato al centro, con un gesto rassicurante e un’espressione di compassione, che evidenzia la sua dedizione ai sofferenti. La vera forza dell’opera risiede nel modo in cui il Tintoretto riesce a elevare il gesto quotidiano di cura e assistenza a una forma di eroismo. I personaggi rappresentati, malati e sofferenti, sono mostrati nella loro vulnerabilità, ma anche nella loro dignità. La loro interazione con San Rocco suggerisce una connessione profonda e umana, trasformando l’atto di guarigione in un atto di amore e sacrificio.

San Rocco Venezia (Interno) – San Rocco risana gli appestati

Composizione e Spazio
Tintoretto è un maestro nella costruzione dello spazio. Le sue opere spesso utilizzano una prospettiva audace e una disposizione non convenzionale dei personaggi, che coinvolge lo spettatore in un dialogo diretto con la scena rappresentata. Questa scelta è in parte influenzata dalla topografia di Venezia, una città di canali e spazi pubblici, che richiedeva un approccio originale alla rappresentazione visiva.
Al riguardo l’opera “Le nozze di Cana” realizzata dall’artista tra il 1592 ed il 1594 ed inserita nella sezione “Unde Origo inde Salus”, presenta infatti delle caratteristiche innovative proprio in merito alla concezione dello spazio. Tintoretto crea un ambiente affollato e dinamico, dove le figure sembrano quasi sfuggire dal telaio, avvolte in un movimento vibrante. La composizione è organizzata in diagonali che guidano lo sguardo dello spettatore attraverso l’intera scena, dal primo piano al fondo. Questo effetto di profondità è accentuato dall’uso di figure disposte in piani differenti, creando un senso di tridimensionalità assai simile a concezioni dello spazio, riproposte dallo stesso Spazialismo di Lucio Fontana, e tutte quante tese ad uno sfondamento della tela, quasi ad indicare “un altro, oltre”.

Impegno civile e sociale
La pittura di Tintoretto non è solo un’espressione artistica, ma anche un’interazione con il suo pubblico. Le sue opere sono state progettate per essere visibili in luoghi pubblici e di culto, coinvolgendo gli spettatori in un’esperienza condivisa. Questo aspetto riflette l’importanza della comunità veneziana e la volontà di Tintoretto di rispondere alle esigenze emotive e spirituali della sua epoca.
Questa particolare tensione di impegno civile e di responsabilità dell’arte verso la comunità stessa è pienamente espressa nella quarta sezione della mostra “Tra potere e fuoco”, nell’opera “Il Paradiso”, realizzata tra il 1588 e il 1594, collocata nel Palazzo Ducale di Venezia, precisamente nella sala del Gran Consiglio. Dunque, questo affresco, le cui dimensioni sono paragonabili ad un campo da tennis, non solo rappresenta una straordinaria espressione artistica ma ha anche un profondo significato sociale e politico, riflettendo a pieno il contesto cosmopolita e democratico della Venezia del XVI secolo.


“Il Paradiso” è caratterizzato da una composizione grandiosa e complessa. Tintoretto crea un cielo affollato di figure divine, tra cui Cristo e la Vergine Maria, circondati da santi e beati che fluttuano in un’atmosfera di luce e movimento. La scena è dominata da un uso audace della prospettiva, con figure disposte su piani diversi, che generano una profondità illusoria. La luce che si irradia da Cristo e dai santi illumina l’intero affresco, creando un effetto quasi soprannaturale. L’uso di diagonali e linee curve guida lo sguardo verso il centro dell’opera, dove si trovano le figure principali. La dinamicità è accentuata dai gesti espressivi e dalle posture dei santi, che sembrano interagire tra loro, creando un senso di comunità celeste. Il colore è vibrante, con tonalità dorate e blu che evocano un’atmosfera di trascendenza.
Dunque, la scelta di collocare “Il Paradiso” nella sala del Gran Consiglio, un luogo di fondamentale importanza politica e decisionale per la Repubblica di Venezia, sottolinea il suo significato sociale. Questo affresco non solo celebra la gloria divina, ma serve anche come un potente simbolo del potere e della stabilità della Repubblica. La rappresentazione del Paradiso funge da promemoria per i membri del consiglio riguardo alla loro responsabilità di governare in modo giusto e saggio, ispirandosi ai valori cristiani.

In sintesi, potremmo dire che la mostra mira a lasciare al visitatore una sorta di immagine plastica, paragonando l’opera del Tintoretto ad una composizione jazz. Infatti, la sua pittura, gestuale e spontanea, è stata paragonata a una composizione jazz dal critico d’arte e storico dell’arte Roberto Longhi. Questo paragone si basa sulla spontaneità e l’improvvisazione che caratterizzano entrambe le forme artistiche.
Longhi ha sottolineato come Tintoretto, proprio come un musicista jazz, fosse capace di creare un senso di movimento e dinamismo attraverso l’uso audace della luce, del colore e della composizione. La sua abilità di rompere con le convenzioni del tempo e di dare vita a scene ricche di energia e drammaticità riflette l’approccio libero e creativo del jazz. Inoltre, le opere di Tintoretto spesso presentano una complessità visiva che invita l’osservatore a scoprire nuovi dettagli, simile a come un brano jazz può rivelare nuove sfumature ad ogni ascolto.
Pertanto, il percorso della mostra che si articola in sei sezioni finisce con il testimoniare che Tintoretto non è solo un rappresentante del Rinascimento, ma anche un innovatore che ha saputo interpretare il suo tempo attraverso una lente personale e originale. La sua esperienza umana e il contesto veneziano, ricco di contrasti e opportunità, hanno forgiato un artista che ha saputo coniugare l’arte con la vita, creando opere che continuano a parlare al pubblico di oggi. Da questo nasce lo spunto che ha dato origine all’intero percorso espositivo, vale a dire quella “forza che emerge spesso dei contrari”, da quei punti dissonanti che spesso vorremmo limare e che invece rappresentano la vera ricchezza presente nella vita di ciascuno di noi.

Domodossola, 8 novembre 2024
Carlo Teruzzi
Direttore del fArti Museum 
e curatore della mostra